E ne dormiremmo altrettante, per quanto è rilassante questo angolo dell'isola.
Non siamo i soli occupanti della spiaggia, ma le altre due famigliole greche, con stuolo di marmocchi urlanti al seguito, si sono accampate davanti al giardino fiorito della casina sul mare, all'estremità opposta della baia. Noi, invece, abbiamo montato la tenda, del tutto indisturbati, nel bel mezzo della stradina di accesso, a pochi passi dalla chiesa e dalle rovine di qualche vecchio insediamento industriale.
Anche questa chiesetta, come forse tutte quelle dell'isola, ha una scalinata che rimane in ombra tutta la mattina: perfetta per la prima colazione.
Siamo talmente lenti, oggi, che prendiamo il mare a mezzogiorno.
Un tonno di dimensioni impressionanti salta cinque volte fuori dall'acqua a qualche decina di metri dai nostri kayak. Più che sufficiente per risvegliarci del tutto.
Io sono di nuovo a bordo del Voyager e scopro subito un'altra apprezzabile qualità del kayak, il suo abbrivio: dopo l'ultima pagaiata non si ferma, come spesso capita agli altri kayak, ma prosegue sulla sua rotta per distanze che mi sembrano infinite, tanto che Mauro deve spesso richiamarmi all'ordine per riuscire a farmi entrare in qualche fotografia.
L'ultimo promontorio prima del Golfo di Geras ha rocce nere, grige e rosse che assomigliano a quelle del Monte Circeo ma, stranamente, qui non c'è neanche un faro a segnalare l'ingresso.
Lo stretto è davvero stretto, poco meno di trecento metri, e tra anse, capi e scogli si protende all'interno del golfo per qualche chilometro. Entrambi i versanti sono ricchi di ancoraggi ben ridossati e alcune barche a vela riposano nelle prime cale. Il "nostro" versante, però, è talmente ben dotato di porticcioli e taverne che non riusciamo proprio a resistere alla tentazione! Specie quando, lungo la strada costiera, si profila il pergolato giallo, ricoperto di reti da pesca rossastre, della "Psarotaverna Marmaro". I tavolini di legno verde, con le sedie impagliate azzurre e le tovaglie a scacchi rossi e blu, sono distribuiti davanti al porticciolo in cui dondolano una decina di piccoli pescherecci colorati... completano l'opera naif una serie di belle decorazioni sospese alle travi, di quelle che piacciono a Pietrafatata, realizzate con legni, conchiglie e galleggianti.
Il menù è ricco: le sardine alla piastra e le melanzane impanate e fritte sono buonissime.
Difficile ripartire, ma la brezza che sale verso nord, in barba alle previsioni, non accenna a calare e quando finalmente riprendiamo a pagaiare, alle cinque del pomeriggio, rende facile il nostro andare.
Ma è solo una breve illusione!
In barba a noi e alla nostra pigra lentezza, il Meltemi previsto arriva puntuale a spazzare il golfo con raffiche di venti nodi. La nostra risalita verso nord ovest diventa così molto... bagnata.
Ad ogni spruzzo penso di rovesciarmi: è la mia prima volta nel vento sul Voyager e mi sembra di essere seduta sulle uova... poi decido di rilassarmi e scopro che invece è un transatlantico!
Le onde di prua gli fanno un baffo, quelle al mascone non lo spostano di un centimetro dalla sua rotta e quelle al traverso, che prendo talvolta di proposito, gli passano sopra e sotto senza influire più di tanto sull'assetto generale. Inizio a prenderci gusto e quasi non mi accorgo delle ciminiere di mattoni rossi di Perama, tutte più o meno diroccate come il vecchio mulino abbandonato appena fuori dal paese.
La strada qui corre sul mare, proprio sopra il mare, tanto che ci entra negli occhi la polvere sollevata dalle auto e nel naso il fastidiosissimo odore dei motori... Conviene rinunciare al ridosso offerto dalla costa per respirare aria pura al largo, anche se il vento rinforza.
Per un certo tratto ci aiutiamo con la tecnica groenlandese della pagaiata in linea, un kayak dietro l'altro, ma il Voyager scalcia e prende sempre la fuga, anche contro vento. Mi diverto un mondo!
Sono solo un po' intimorita da Polpiak, il polipetto che ho trovato a Skopelos l'estate scorsa e che da allora è aggrappato alla prua dei kayak di Mauro: mi guarda in modo minaccioso ed inquietante, sembra non apprezzare il mare mosso e mi fa rimpiangere la mia innocua medusa portafortuna. A dire il vero, mi manca anche la pompa a pedale che impreziosisce il mio Baidarka e che Mauro sta usando di continuo: io, invece, ho i talloni in ammollo da troppo tempo e le condizioni non sono certo adatte all'uso della pompa manuale...
Sul Baidarka, però, il seggiolino non è imbottito e comincio a preoccuparmi per l'osso sacro del suo povero occupante. Ma l'Uomo di Ferro non profferisce parola, almeno fino allo sbarco, quando ne dice soltanto due: "Ho fame"!
Pranzo e cena in taverna?!?
Perché no? Sono gli ultimi giorni di viaggio e vale la pena di goderseli fino in fondo...
Solo per montare la tenda incontriamo qualche difficoltà, perché la spiaggia di Pigadakia è talmente corta e frequentata da spingerci a ripiegare sul parcheggio asfaltato retrostante la taverna... ma non possiamo avere tutto.
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